Alla 96ª FAZI la cerealicoltura italiana punta all’economia circolare Il mais perde terreno e l’import erode margini alle filiere Dop e Igp
Un esercito di circa 325mila aziende agricole a indirizzo cerealicolo, una superficie pari a 3,1 milioni di ettari e un valore alla produzione che nel 2023 ha toccato i 5,3 miliardi di euro, pari all’8% del valore della produzione agricola e al 14,5% della produzione vegetale. È il quadro in pillole della cerealicoltura italiana, che riparte dalla FAZI e dal sistema cooperativo per cercare di coniugare redditività, competitività e sostenibilità, dopo aver perso terreno – in particolare nel mais, passato da un tasso di autoapprovvigionamento del 98% nel 2000 a meno del 50% nel 2023 – nel terzo millennio.
I numeri, illustrati dalla professoressa Vera Ventura, docente di Economia agraria dell’Università di Brescia, sono la rappresentazione plastica di un fenomeno di cambiamento degli orientamenti colturali in campo (“scende il mais, sale il frumento duro”, analizza Ventura) che ha riflessi sull’economia delle imprese agricole, dei territori e delle catene di approvvigionamento.
Il calo della produzione interna, infatti, significa incremento delle importazioni, che ovviamente hanno un costo. “Per importare i cereali per le nostre produzioni di qualità abbiamo speso 4,3 miliardi di euro nel 2022 e 3,7 miliardi di euro nel 2023 – puntualizza la professoressa Ventura, citando lo studio elaborato dal collega Dario Frisio, economista agrario dell’Università di Milano -. Letto con altri parametri, significa che la spesa per importare i cereali rappresenta il 90% del valore dei prodotti di qualità che esportiamo come formaggi e salumi”. Ed è un dato in crescita, tanto che “nel 2022 il valore delle importazioni di cereali corrisponde al 92% dell’export totale dei prodotti di qualità Dop e Igp. Con queste cifre significa che i margini di guadagno vengono erosi dalla dipendenza strutturale dell’Italia”.
Lo studio, realizzato all’interno del progetto “Ricrea: rifiuti cerealicoli per il biorisanamento”, che ha coinvolto in qualità di partner l’Università di Brescia, Promocoop Lombardia (società di servizi di Confcooperative), la cooperativa Quadrifoglio, Biochem Solution e Sistemi Ambientali, spalanca nuove opportunità, a partire appunto dalle soluzioni di economia circolare e dall’impiego dei sottoprodotti (stocchi di mais, tutoli o scarti di trasformazione dei cereali, ad esempio) nelle operazioni di risanamento e bonifiche ambientali.
“Allo stesso tempo, è possibile in cerealicoltura introdurre innovazioni di tipo land saving, aumentando la produttività unitaria e ricorrendo a soluzioni come le Tea e il miglioramento genetico – prosegue la professoressa Ventura – ma anche adottando innovazioni che possono essere orientate al labour saving e, dunque, legate essenzialmente alla meccanizzazione, all’agricoltura 4.0, all’adozione di sensori per ridurre i tempi in campo”. Non è tutto.
Accanto a tali tipologie di innovazioni è necessario aggiungere ulteriori strategie di tipo organizzativo, come “procedure, metodi di organizzazione, oppure anche lo stesso progetto Ricrea, che può introdurre pratiche in grado di sostenere e incrementare la redditività dell’azienda agricola, utilizzando gli scarti dei cereali, che possono diventare materia prima per filiere interessanti.
Resta il nodo dell’innovazione in agricoltura. Da un sondaggio condotto a livello territoriale fra un centinaio di cerealicoltori, è emerso infatti che l’economia circolare come soluzione non è ancora stata adottata dalle imprese agricole in maniera strutturale.